05 aprile 2002

Ricordare o dimenticare?
Una volta dicevo che l’unico ricordo che avevo di mio padre era di una notte a Milano.
Evidentemente non dormivo, oppure chiamavo la mamma, fatto sta che ricordo benissimo che mi prese dal lettino e mi urlo’:”Vuoi la mamma? Vuoi la mamma? Eccotela!” poi mi scrollo’ ben bene e mi butto’ sul lettone tra le braccia di mia madre.

Pero’ e’ vero che ricordo anche quando mi teneva in braccio sulla poltrona in soggiorno e mi faceva il gioco del pollice tagliato a mezzo. E anche che mi leggeva Pinocchio.
Lui stesso anni dopo mi aiuto’ a ricordare che andavamo sempre in giro per la campagna cantando “Azzurro”.
Della casa di Milano in cui ho abitato fino ai tre anni ricordo tutto. La disposizione dei mobili, il giro delle stanze, la scala di ferro che portava in giardino.

E poi gli amichetti che da un giorno all’altro la loro mamma non ha piu’ fatto scendere a giocare con me e non capivo il perche’.
Mi sembra fossero due fratelli, un maschio e una femmina. Me li ricordo affacciati al balcone al piano di sopra mentre li chiamavo a giocare e la mamma che li faceva rientrare in casa.
Che sia stato perche’ i miei si stavano separando?
Boh…

Poi ricordo la f o n t a n a. Una bellissima fontana con le luci colorate cangianti davanti ad un albergo. E ricordo che la sera c’era sempre la macchina da portare in garage e io spesso chiedevo di scendere con mia madre. Ricordo una sonora capocciata che diedi una di quelle sere contro il cruscotto perche’ non stavo a sedere per bene e il “ben ti sta!” di mia madre a cui segui’ come al solito un ceffone.

E l’appellativo di “zozza al cubo” che mi terrorizzava (cercavo di immaginarmi questo cubo e non capivo bene cosa fosse), quando non riuscivo a dire per tempo che mi scappava la pipi'. E quella volta che mi scoprirono mangiare la pappa dei cani. Avevo il compito di portare la minestra avanzata ai cani e io adoravo prendere in mano i maccheroni e mangiarli cosi’. Una tragedia. Anche perche’ a tavola non mangiavo. Probabilmente se succedesse a me ora con Gioele glielo lascerei fare.
Poi la tata che mi faceva assaggiare gli spaghetti per sentire se erano cotti facendomeli calare in bocca dall’alto e mio padre che si incazzava come una bestia per questo.
Son ben s t r a n i i genitori a volte.

Poi ricordo le canzoni. Ciccio ciccio e Ti tirano le pietre e Vengo anch’io. Terribili. Mi facevano venire un magone… E la radio da cui le ascoltavo ce l’ho ancora, qui a casa a Firenze. Una Concertino di legno. Funziona ancora.

Ricordo la stanza dei miei fratelli e Franco che mi da gli omogeneizzati e le tre palline colorate che facevo girare mentre ero seduta sul seggiolone. E una volta che mi cacciarono da tavola e mi spedirono nella stanza di Sandro e dal gran piangere persi sangue dal naso e gli imbrattai tutto il copriletto.

Poi c’e’ un salto e i ricordi si trasferiscono in campagna. Mi ricordo che temevo di aver scordato qualcosa a Milano e allora mi immaginavo di essere come T i r a m o l l a, allungavo un braccio fino alla casa di Milano, entravo da una finestra e mi prendevo quel che avevo dimenticato.
Cosa fosse pero’ non ricordo.

Tutto il periodo antecedente la scuola elementare e' stato molto divertente. C’erano tanti bambini figli delle persone che erano in affitto nelle case vicine a quella padronale. Mi ricordo le corse sull’aia, i pomeriggi passati sulle montagne di mele, gli odori, le corse in mezzo alla campagna. La capretta Chicca che era dolce come un cagnolino e le avevo insegnato a salirmi sulle spalle quando stavo in ginocchio, cosi’ arrivava meglio alle foglioline del glicine in giardino. Ricordo Charlie, suo figlio e quanto belava la Chicca mettendolo al mondo. Poi ricordo il piacere sadico con cui stavo a guardare mentre ripulivano i polli dalle interiora o macellavano i conigli, oppure il maiale d’inverno.

E il rumore silenzioso della neve sotto i piedi e quanto era bello l’albero di natale con tutte le luci colorate che si accendevano e si spegnevano e i regali che apparivano d’incanto. Mi ricordo un po’ piu’ grande di una sera che feci finta per un paio di volte di non averli visti per pregustare meglio il momento in cui li avrei aperti.
Ma non erano mai quello che avevo chiesto, sempre una versione un po’ diversa, un po’ meno costosa oppure di piu’, ma io finivo sempre per restare delusa.

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