03 gennaio 2004

Era il 3 gennaio 1986.
Si era svegliata con un brutto mal di testa, ma nel pomeriggio andammo ugualmente a Bologna dove sarei passata a prendere un'amica alla stazione per andare insieme ad una riunione di lavoro.
Il programma prevedeva che lei sarebbe passata a trovare mio fratello e poi al cimitero prima di tornare a prendermi.
In macchina spense un po' rabbiosa la sigaretta dicendo che aveva un cattivo sapore.
Lungo la strada mi chiese di accompagnarla e io le risposi un po' piccata che l'amica mi aspettava alla stazione e non potevo cambiare tutto all'ultimo minuto. Non ero piu' una bambina, avevo degli impegni da rispettare.
Bisticciammo un po' e quando scesi dalla macchina non mi rivolse lo sguardo, solo un freddo "Arrivederci" in risposta al mio saluto in cerca di riappacificazione.

La ritrovammo dopo affannose ricerche e concitate telefonate, verso le undici di sera. Un ictus le aveva fatto scoppiare una vena del cervello davanti alla tomba di sua madre e di suo padre. Ci volle la polizia per convincere il guardiano ad aprire il cancello, quando mio fratello trovo' la sua macchina ancora parcheggiata li' davanti. Era ancora viva.
Nevicava e l'ipotermia che rallento' l'emorragia servi' soltanto a mantenerla in coma per tredici giorni.

Quando li raggiunsi al pronto soccorso la prima cosa che sentii fu la domanda che qualcuno rivolse a mia cognata:"Dove abitava la signora?". Entrai in ambulatorio convinta di trovarcela, piazzai gli occhi in faccia al medico e chiesi soltanto:"A... a.... abitava?". Poi la vidi con la coda dell'occhio, sulla barella portata in velocita' verso l'ascensore, il viso coperto dal palloncino della ventilazione forzata.

"Arrivederci."

Nessun commento: