14 luglio 2002

Ho avuto una recrudescenza di attacchi di panico, dopo la nascita di Gioele. Probabilmente giustificati dalla situazione in cui mi sono trovata per un periodo troppo lungo. Aridagli col piedone, il mese a letto col pancione perche' non potevo appoggiare il gesso a cui e' seguito il mese dopo la nascita di Gioele e poi la riabilitazione.

Riabilitazione per modo di dire, perche' approfittavo delle visite a Gioele per il piedino torto e mi facevo dare qualche consiglio dalla sua fisioterapista. D'altro canto il vitellino poppava ogni due ore e considerando che la poppata durava piu' o meno tre quarti d'ora se si attaccava alle due finivo alle tre meno un quarto e alle quattro ero di nuovo punto e daccapo. Dicevo, son tornata a camminare senza stampelle appoggiandomi alla carrozzina di Gioele che era marzo. Quattro mesi letteralmente chiusa in casa, d'inverno. Poi mettici le notti insonni, l'ansia per sto coso che non avevo idea di come rigirare, la classica depressione post-parto, senza dimenticare che l'unica persona che vedevo era la G.S. La sua presenza e' stata da un lato come la manna dal cielo, altrimenti avremmo digiunato per quattro mesi, dall'altro fonte di angoscia perche' le e' preso un transfert col mio pancione e non faceva altro che raccontarmi di quanto stesse male in gravidanza, del parto prematuro di Giovanni, del latte che non e' riuscita a dargli, della malattia (grave) che poi dopo l'ha colpita, e da li' a raccontarmi tutte le malattie e le disgrazie accadute in casa G. dalla terza generazione in poi, il passo e' stato breve.

Insomma, povera donna, ora mi rendo conto che non lo faceva mica apposta (almeno spero), pero' e' stata dura, soprattutto data la situazione contingente.

Stanotte ho fatto un sogno. Comincia a diventare un avvenimento degno di nota perche' dagli ultimi mesi di gravidanza in poi sogno davvero pochissimo (o me ne ricordo pochissimi, il che dal mio punto di vista e' uguale).
La trama era un po' intricata, quello che ho trattenuto nella memoria e' un flash. Sto scappando da un posto e sto tornando a casa (o sto scappando dalla mia casa che mi spaventa e sto andando in un luogo sicuro(?)). Comunque sia mentre sto fuggendo mi accorgo di aver lasciato indietro i vestiti. Penso un attimo se valga la pena tornare a prenderli, ma decido immediatamente che non e' una buona idea, in fondo sono soltanto una tuta e una maglietta. Sono dispiaciuta perche' erano vestiti comodi, ma penso che in qualche modo li sostituiro'.

Stamattina li' per li' ho pensato: un compromesso. Allora mi son messa a rimuginare su quante volte io sia scesa a compromessi. E non sempre per il mio bene. Giornalmente scendo a patti con la realta' pur di non affrontarla. Il primo esempio che mi viene in mente: tengo una tata di cui non sono contenta per alcuni motivi (del tipo che ogni tanto viene a lavorare con i MIEI vestiti, oppure noto che indossa un anellino che non mettevo piu' da tempo), perche' non riesco a stare da sola in casa - o uscire - se non c'e' qualcuno con me.

Devo dire che la cura che sto seguendo sta dando i suoi frutti, anche se la mia costanza nel mettermi alla prova e' ostacolata a) dalla paura b) dal superlavoro degli ultimi mesi che non mi lascia spazi (e la necessaria tranquillita') per non scantonare c) probabilmente da una sorta di abitudine all'accompagnatore che si e' incancrenita.

Dicevo del sogno. Rimuginavo quindi sui compromessi e su quante cose abbia lasciato indietro pur di non affrontare la paura. E mi accingevo a scriverne per ragionarci un po' su.
Invece, quando ho iniziato a raccontare ho pensato che potesse anche essere un sogno positivo. Che - forse - lasciare i panni comodi ma "da casa" perche' stavo fuggendo da un luogo spaventoso poteva dire anche qualcos'altro.

Poniamo che i panni comodi siano la trasposizione della mia necessita' di appoggiarmi a qualcuno per sopravvivere (atteggiamento che spesso mi aiuta a non prendermi le mie responsabilita', per questo probabilmente nel sogno mi mancano e li ritengo comodi).
Diventa evidente come per indossare questi panni io sia costretta a vivere in un luogo spaventoso (in un modo spaventoso, se ci rifletto un attimo a mente lucida). Tipicamente la tuta si mette in casa, in un luogo protetto (che puo' anche diventare una prigione). Se li lascio li' pero' puo' anche significare che forse ora sono pronta per indossare altri panni per USCIRE fuori.
Mi mancheranno le pantofole, ma per quanto? Nel sogno sentivo che avrei potuto sostituirle con altro.
Altre "comodita'" vissute come tali per libera scelta, non per rinuncia alla vita.

Non so cosa volesse suggerirmi il subconscio stanotte, ma so che per uscire da questa prigione (che ha paradossalmente la porta aperta, solo che io non riesco a varcarla), per fare il primo passo (in quale blog ho letto che a volte il primo singolo passo e' la parte piu' faticosa del viaggio?), devo fare chiarezza.

Cominciamo da qui allora. Mi tolgo calzoncini e maglietta e indosso un vestito. Apro la finestra, entra la luce, mi affaccio.
"Huston, abbiamo un problema".

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