Mercoledi' pomeriggio, sala d'attesa di uno studio medico.
Arrivo in anticipo, scelgo una rivista e mi accomodo su una poltroncina.
E' un poliambulatorio e insieme a me aspettano due signore.
La prima, anziana sui sett'antanni, abbastanza curata.
La seconda, sulla cinquantina, ben portati (si intuisce che e' di famiglia benestante e' curata e ha un buffo cappello in testa), sta piangendo.
Alzo gli occhi per osservarla - lo ammetto - un po' incuriosita e mi accorgo che con il mio ingresso ho interrotto una conversazione.
Lei singhiozza, si asciuga le lacrime con un fazzoletto di carta e riprende a parlare con la signora piu' anziana.
Parlano di chemioterapia, di quanto siano convinte che le cure siano inutili, di quanto soffrono.
La signora piu' anziana dichiara che ha smesso di curarsi, ora fa solo terapia del dolore (cerotti a base di insulina) perche' non vuole piu' soffrire ed e' consapevole che non c'e' piu' nulla da fare. Ieri ha chiesto al suo medico se avra' il tempo di sistemare le cose e lui le ha risposto di farlo al piu' presto.
Ma e' la disperazione della signora col cappello che mi prende allo stomaco. Forse e' la spontaneita' con cui si lascia andare al dolore, quel pianto non nascosto, quella disperazione aperta, messa in piazza cosi', senza pudore, che mi scatena un'empatia immediata.
Se riuscissi a dar retta al mio istinto mi alzerei subito per abbracciarla e consolarla.
Invece poso la rivista e le ascolto senza nascondermi dietro alle pagine patinate.
E lei sbircia verso di me, ogni tanto.
E l'unica cosa che riesco a fare e' parlarle con gli occhi, abbracciarla con lo sguardo.
Mi rendo conto che non e' possibile consolarla, e mentre ascolto l'elenco dei medici d'Italia che hanno girato, le considerazioni sui figli (perche' lei, col buffo cappello che ora ho capito cosa nasconde, ha tre figli e il piu' piccolo ha vent'anni. E sono pochi, ripete, sono pochi...), penso a come le cose cambino, da un minuto all'altro.
Non sono piu' le stesse. La vita non e' piu' la stessa, cio' che hai intorno non ha piu' lo stesso odore e sapore di prima. E mi sembra di sentirlo nelle orecchie, l'urlo disperato che vorrebbe assordare tutto il mondo, la richiesta di aiuto che tende a chiunque abbia accanto, come un bambino che mentre gioca, distratto, si accorge all'improvviso che ha perso di vista la sua mamma.
Io l'ho sentito quel grido.
E ce l'ho ancora nelle orecchie e nel cuore.
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